Sei favorevole a trasformare Sa Die de sa Sardigna nella Festa della Lingua Sarda?

13 Comments

  • andrea - 12 years ago

    SA DIE DE SA SARDIGNA...
    non può avere confini... è la storia di una comunità, è la storia dei sardi di domani,oggi e ieri.

    vedi il video: http://www.youtube.com/watch?v=odM9XNQRRCA
    Giovanni Lilliu Sa Die 1996 Cagliari

  • nicola - 12 years ago

    sa limba comuna?
    per carità, che ciascuno parli il sardo che ha imparato, che si raggiunga un'unità nella scrittura e nelle regole grammaticali e poi gli scambi continui faranno in modo di unificare le diverse varianti ed avremo una lingua po tottus

  • michele pinna - 12 years ago

    diat essere una cosa bella. Ma a patu che sa limba non siat sa beste de castigu ma siat sa beste fetiana. In iscola in sos ufitzios in sos zornales in sas televisiones in sas radios e in su tzinema, in cada logu de sardigna. Diat essere de aberu sa festa de totu sos sardos. Tocat de bi trabagliare. Trabagliamubei.

  • EffE - 12 years ago

    MaHaBa...

  • anonimous - 12 years ago

    Ma baffanculo!

  • lollo - 12 years ago

    tristezza! ma proprio abbiamo bisogno di altro prosciutto per coprirci gli occhi? così possiamo dire ai dosoccupati/cassaintegrati/precari sardi: là chi non c'è nudda de pappai?

  • Rosella - 12 years ago

    Primo: la lingua sarda non ha bisogno di un giorno di festa, vogliamo per caso disvalorizzarla ulteriormente?
    Secondo: semmai bisognerebbe dare dei connotati nazionalitari alla festa de sa die de sa sardigna.

  • Lella - 12 years ago

    Certo che è una questione importante eh?!
    Parlare di Nemo Cappellacci no... degli studenti che aspettano da un anno il master and back?
    Della mafiosità di un presidente di calcio nemmeno..
    ma mi faccia il piacere...
    diceva il grande principe

  • Pisenti - 12 years ago

    La lingua Sarda esiste già ed è quella Logudorese Campidanese Gaddhurese Ogliastrino Nuorese, quelli che si stanno una nuova lingua Sarda sunti genti macca chi nò scinti mancu aundi funti strantascius a si biri!!

  • Pisenti - 12 years ago

    La Repubblica Italiana, nel dopoguerra, mantenne intatto, in sostanza, l'impianto di pubblica istruzione del periodo fascista.- La nazione emergeva, non bisogna dimenticarlo, da una guerra civile, nella quale le fazioni in lotta avevano, con la Repubblica di Salò, diviso in due l'Italia, il movimento indipendentista siciliano era in piena agitazione (erano gli anni delle imprese di Salvatore Giuliano), non era certamente il momento di sollevare dubbi sulla veridicità della storia risorgimentale e alimentare così tesi separatisti.- Si è arrivati in questo modo ai giorni nostri, dove ancora adesso, in molti libri scolastici, la storia d'Italia e del meridione in particolareè vergognosamente mistificata.In campo economico la visione che si dette del Regno delle due Sicilie fu, se possibile, ancora più lontana dalla realtà effettuale.Il Sud borbonico, come ci riporta Nicola Zitara era: "Un paese strutturato economicamente sulle sue dimensioni. Essendo, a quel tempo, gli scambi con l'estero facilitati dal fatto che nel settore delle produzioni mediterranee il paese meridionale era il piú avanzato al mondo, saggiamente i Borbone avevano scelto di trarre tutto il profitto possibile dai doni elargiti dalla natura e di proteggere la manifattura dalla concorrenza straniera. Il consistente surplus della bilancia commerciale permetteva il finanziamento d'industrie, le quali, erano sufficientemente grandi e diffuse, sebbene ancora non perfette e con una capacità di proiettarsi sul mercato internazionale limitata, come, d'altra parte, tutta l'industria italiana del tempo (e dei successivi cento anni). (...) Il Paese era pago di sé, alieno da ogni forma di espansionismo territoriale e coloniale. La sua evoluzione economica era lenta, ma sicura. Chi reggeva lo Stato era contrario alle scommesse politiche e preferiva misurare la crescita in relazione all'occupazione delle classi popolari. Nel sistema napoletano, la borghesia degli affari non era la classe egemone, a cui gli interessi generali erano ottusamente sacrificati, come nel Regno sardo, ma era una classe al servizio dell'economia nazionale".In realtà il problema centrale dell'intera vicenda è che nel 1860 l'Italia si fece, ma si fece malissimo. Al di là delle orribili stragi che l'unità apportò, le genti del Sud patiscono ancora ed in maniera evidentissima i guasti di un processo di unificazione politica dell'Italia che fu attuato senza tenere in minimo conto le diversità, le esigenze economiche e le aspirazioni delle popolazioni che venivano aggregate.La formula del "piemontismo", vale a dire della mera e pedissequa estensione degli ordinamenti giuridici ed economici del Regno di Piemonte all'intero territorio italiano, che fu adottata dal governo, e i provvedimenti "rapina" che si fecero ai danni dell'erario del Regno di Napoli, determinarono un'immediata e disastrosa crisi del sistema sociale ed economico nei territori dell'ex Regno di Napoli e il suo irreversibile collasso.D'altronde le motivazioni politiche che avevano portato all'unità erano – come sempre accade – in subordine rispetto a quelle economiche.Se si parte dall'assunto, ampiamente dimostrato, che lo stato finanziario del meridione era ben solido nel 1860, si comprendono meglio i meccanismi che hanno innescato la sua rovina.Nel quadro della politica liberista impostata da Cavour, il paese meridionale, con i suoi quasi nove milioni di abitanti, con il suo notevole risparmio, con le sue entrate in valuta estera, appariva un boccone prelibato.L'abnorme debito pubblico dello stato piemontese procurato dalla politica bellicosa ed espansionista del Cavour (tre guerre in dieci anni!) doveva essere risanato e la bramosia della classe borghese piemontese per la quale le guerre si erano fatte (e alla quale il Cavour stesso apparteneva a pieno titolo) doveva essere, in qualche modo, soddisfatta.Descrivere vicende economiche e legate al mondo delle banche e della finanza, può risultare al lettore, me n

  • Mario - 12 years ago

    Sono assolutamente contrario alla Sardegna indipendente, il popolo sardo è sempre stato disunito, lo è per definizione e visto il basso livello della classe politica sarda e di tutti i raccomandati che ci girano attorno, sarebbe un fallimento totale. Non siamo in grado di fare nulla, turismo ?? dov'è ?, servizi ?? non esistono? lavoro ? solo ai raccomandati dei papponi locali ? indipendenza ?? ma da chi ??
    Mario

  • Davide - 12 years ago

    La lingua sarda dev'essere utilizzata in tutte le celebrazioni che riguardano il popolo e la nazione sarda. Il 28 aprile è una precisa celebrazione, benissimo utilizzare il sardo, ma perché trasformare la ricorrenza in festa della lingua sarda?

  • Stefano - 12 years ago

    Sarebbe più interessante!!!

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